Questo sito utilizza solo cookie tecnici e analytics di terze parti che rispettano i requisiti per essere equiparabili ai cookie e agli altri identificatori tecnici.
Pertanto non è richesta l’acquisizione del consenso.

Informativa Chiudi

La famiglia d’Adda in Arcore

Data di pubblicazione:

mercoledì 28 luglio, 2021

Tempo di lettura:

6 min

Ultimo aggiornamento:

giovedì 7 novembre, 2024

La famiglia d’Adda che per secoli ha legato il suo nome alla città di Arcore, è stata una dinastia di mercanti e banchieri ben radicata nella città di Milano, la loro importanza nel territorio della Brianza è però antecedente la loro posizione di spicco nella città meneghina.

Infatti assunsero nella capitale del ducato posizione di spicco solamente con la fine del periodo sforzesco, consolidando e ampliando le proprie risorse economiche fino al punto di potersi permettere di concedere prestiti allo stesso Stato.

I d’Adda sono stati definiti come “la famiglia di mercanti più attiva e potente dello Stato milanese”.

 

Con Pagano II e il cugino Giovan Agostino si decise che alla potenza economica andasse correlata una qualifica nobiliare. Per questo motivo dal 1538 la famiglia iniziò ad acquistare terre e feudi.

L’acquisto di terre (fenomeno che coinvolgeva gran parte del ceto facoltoso di Milano) fece sì che la famiglia diventasse oltre che di mercanti e banchieri anche di proprietari terrieri, con tutto ciò che ne consegue.

Questo non fu però sufficiente per conquistare il titolo tanto agognato, e nemmeno l’acquisto di una cappella gentilizia in una delle chiese cittadine. L’unico motivo che gli valse la conquista del titolo fu la grande abilità negli affari della famiglia e gli ingenti prestiti alle casse statali, dissanguate dalle ingenti spese belliche.

Da tre dei sette figli di Pagano I derivano le tre diramazioni principali; i d’Adda Salvaterra da Gaspare, i Marchesi di Pessano e i Marchesi di Pandino da Rinaldo e da Francesco I i Conti di Sale.

Tra i successori di Francesco d’adda ricordiamo Gian Agosto in quanto uomo di grande cultura, molto legato a Pietro Aretino il quale sembrerebbe gli avesse fatto dono di un Raffaello, del quale, nel corso dei secoli, si son perse le tracce.

Fratello di Gian Agosto è Costanzo II d’Adda, il quale viene ricordato, oltre che come grande uomo della Milano Cinquecentesca, per la cura del palazzo di famiglia a Settimo Milanese. Lasciò al figlio Francesco II, legittimato in punto di morte, tutti i suoi beni, mobili e immobili, che tra le altre cose, comprendevano i beni arcoresi della famiglia.

Si suppone che sia durante la vita di Francesco II d’Adda che venne edificata la villa originale (l’edificio che oggi ospita gli uffici comunali). Infatti è in un documento catastale collocabile temporalmente a cavallo tra ‘500 e ‘600 che troviamo la prima citazione della villa con giardino sulle proprietà dei d’Adda ad Arcore. Il catasto del 1558 non rilevava nessun edificio su quei terreni.

Ridottosi l’impegno della famiglia nel settore mercantile e bancario, come molte altre famiglie di possidenti feudali, i d’Adda si trasformarono in meri amministratori dei loro patrimoni fondiari.

È in questo periodo che le famiglie nobili riscoprono le campagne sia come luogo di investimento agricolo che come luogo di residenza seppure stagionale, e come luogo dove ricevere gli ospiti nei mesi estivi e caldi, preferendo l’aria salubre della Brianza a quella cittadina di Milano.

Alla morte di Francesco le proprietà passarono ai nipoti Francesco e Ferdinando.

In seguito venne tutto ereditato dal figlio di Francesco: Costanzo IV. Questi fu un personaggio di grande spicco nella società milanese dell’epoca sia per le cariche politiche di spicco da lui ricoperte (fu membro dei Sessanta decurioni fino alla sua morte), sia per la sua erudizione e dedizione all’arte; trasformò il palazzo di via Olmetto in una vera e propria galleria con collezioni di quadri, medaglie e libri, che divenne così famosa da attirare i visitatori di passaggio a Milano.

Dei tre figli l’erede designato fu Francesco IV mentre Ferdinando venne avviato alla carriera ecclesiastica, diventando Abate. Il terzo, Lorenzo intraprese la carriera militare ma morì a soli trent’anni.

Francesco d’Adda morì senza eredi maschi e i suoi beni passarono al fratello abate e in piccola parte al cugino Febo d’Adda del ramo dei marchesi di Pandino.

 

L’Abate Ferdinando d’Adda con la morte di Maria d’Adda, con la quale si estingue la linea di di discendenza dei Conti di Sale, entra in possesso di un’enorme fortuna, che seppe aumentare grazie ad un’oculata amministrazione.

Nel 1749 inoltre ebbe la commenda dell’abbazia di Sant’Antonio di Carpianello, commenda che gli assicurava una cospicua rendita e nessun impegno gravoso. Come alcuni dei suoi predecessori fu uomo di grande cultura.

All’abate si deve la costruzione dell’attuale Villa Borromeo d’Adda a metà Settecento.

Fu inoltre il fondatore della Causa Pia d’Adda, che si occupava dell’assistenza sanitaria agli ammalati, al soccorso di vedove e orfani, all’istruzione e alla fornitura di una dote alle fanciulle nubili. A questa istituzione andò grossa parte dei beni dell’abate alla sua morte. La restante parte di proprietà invece andarono al cugino Febo d’Adda, che già aveva ricevuto qualcosa dal fratello dell’Abate, Francesco IV.

Febo d’Adda riunì le proprietà arcoresi dei d’Adda, inoltre divenne patrono della Causa Pia d’Adda fondata dall’abate Ferdinando.

Ricoprì svariate cariche pubbliche sia sotto i Francesi che sotto gli Austriaci. Fu inoltre discepolo e amico del Parini, il quale gli dedicò la bellissima ode Alla Musa.

Alla sua morte le proprietà di Febo passarono prima a Giovanni d’Adda che fece costruire la Cappella Vela per la moglie morta giovane Maria Isimbardi, e successivamente al figlio Emanuele che invece fece costruire le Scuderie. A questi due personaggi si deve anche l’attuale aspetto della villa e del parco.

Emanuele fu deputato alla Camera e in seguito Senatore con nomina da parte di Giolitti. Era famoso per il suo interesse per le cause sociali, infatti promosse numerosi progetti di opere edilizie, oltre a fornire alloggi popolari agli operai.

Lui e la moglie Beatrice Trotti Bentivoglio erano conosciuti per la loro filantropicità e la fedeltà alla Causa Pia d’Adda fondata dall’abate Ferdinando.

Erano inoltre socialmente ben inseriti, infatti, frequentarono la regina Margherita e il re Umberto I, invitati nella Villa Reale di Monza.

Al primogenito Vitaliano invece Febo lasciò le proprietà di Cassano d’Adda. Vitaliano però non ebbe eredi maschi e la figlia Costanza convolò a nozze con Carlo Borromeo Arese al quale diede un figlio: Febo Borromeo d’Adda.

Questi alla morte senza eredi di Emanuele d’Adda ricevette i possedimenti di Arcore e li trasmise l figlio Emanuele. La villa dopo la morte del conte Febo Borromeo d’Adda però visse uno stato di progressivo abbandono fino all’acquisizione della stessa dal Comune di Arcore nel 1980.

 

Ulteriori informazioni

Ultimo aggiornamento

07/11/2024